Portare con sé in pubblico una bomboletta spray peperoncino non si configura come reato previsto dall’art. 4 L. 895/1967, ovvero disposizioni per il controllo delle armi: è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, I Sez. Penale, con la sentenza n. 8624/2018. Secondo il Tribunale Supremo, infatti, una bomboletta a base di OC non può considerarsi né un’arma da guerra, né un’arma chimica, ma va invece considerata una comune arma da sparo per il cui porto non è ammessa la licenza ai sensi dell’art. 699 del c.p.
La decisione è arrivata in risposta al ricorso del P.M. contro la sentenza che aveva assolto un uomo imputato proprio del reato ex art. 4 della legge 895/67, il quale aveva portato con sé in luogo pubblico una bomboletta spray al peperoncino non conforme a quanto previsto dal D.M 103/2011, contenente una soluzione irritante a base di OC di 40 ml e con gittata di 5 metri.
Ed è stata proprio questa inosservanza tecnica a determinare un diverso orientamento giurisprudenziale dei giudici della Cassazione. Il porto della bomboletta è stato ritenuto antigiuridico in quanto non ha rispettato le caratteristiche richieste, ma è stata applicata la fattispecie residuale contravvenzionale di cui all’art. 699 del Codice Penale e non il delitto previsto dall’art. 4 della L. 895/67.
Insomma, se da un lato lo spray urticante al peperoncino non può considerarsi un’arma comune da sparo o da guerra per mancanza di caratteristiche in grado di arrecare grave offesa alla persona (nella fattispecie aggressivi chimici, radioattivi o biologici), dall’altro una bomboletta che non rispetta i parametri di legge è potenzialmente lesiva, e pertanto la sua detenzione è perseguibile dal punto di vista penale.
Ricordiamo, infatti, che gli spray di difesa personale devono contenere il principio attivo di Oleoresin Capsicum non superiore al 10% con una miscela non superiore i 20 ml, avere una gittata che non superi i 3 metri e, soprattutto, non contenere sostanza tossiche, infiammabili e nocive.